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giovedì 2 maggio 2013

La Pòlis che non c’è, di Ennio Abate con la prefazione di Massimiliano Tortora (Cfr). Intervento di Nunzio Festa




“La Pòlis che non c’è” è il libro che raccoglie le poesie scritte dal poeta-operaio d’origini campane, Ennio Abate, dal 1978; vincitore della terza edizione del Premio “Fortini”, si tratta d’un’opera insieme complessa e semplice allo stesso tempo. Difficile nella sua struttura, di facile lettura. Perché, e il prefatore del volume sarà ancora più chiaro e decisivo del sottoscritto (ma a suo modo vorrà spiegarcelo il poeta nella sua nota accompagnatoria dei testi), la poesia civile d’Abate – al di là di cosa pensino delle definizione sostenuta gli stessi Ennio Abate e Tortora – s’occupa proprio della scomparsa del “noi” politico, arrivando a incidere con lo scalpello del poeta l’Io oramai in stato di emarginazione e, perfino, resa. Reagendo nel disincanto, in una qualche maniera. Quindi dal punto di vista dell’intonazione contenutistica, posso confermare che l’obiettivo è raggiunto: Abate versifica dandoci la decomposizione assoluta delle comunità, nello specifico quella politica – di protesta. Come, d’altronde, l’altro grande risultato è stato ottenuto. Insomma non conoscevo il poeta Abate ma adesso so bene che dovrei stare molto più attento a un autore e lottatore che vissuta l’esperienza d’Avanguardia Operaia, non è sereno nell’essersi pensionato. Anzi il calore della sua rabbia porta persino aggressioni alle acque chete dei tanti ex compagni che si sono arresi oppure, peggio ancora, han fatto il salto che li condusse già tempo fa dall’altra parte. Facendo scompiglio, innanzitutto, nelle certezze assolute in mano a fondoschiena benpensanti e ben torniti. Se all’inizio la partitura è più ampia, nella seconda parte dell’opera infatti, proprio dove le artigliate diventano più forti, la scrittura viene a chi legge in veste più computa. Eppure la forza è sempre la stessa. Abate sente il mondo cadere. I problemi diventare “crisi”. Tutte le sconfitte. E, su tutto, la classe operaia lasciata in un deserto dove a volte prova ancora a lottare. Mentre, per dire, i giornali più diffusi cosa diffondono? “Controllo / nel più smaltato vasino / a sinistra / la cacca di Arbasino.” Le pattuglie degli ex combattivi, invece, come lavorano e/o lottano adesso? “I più lesti finiti in massmedia / il grosso eliminato tra storia / filosofia o economia / altri per il rotto della cuffia / accucciati in poesia / e qualcuno solo in scuole di periferia.” Dice il poeta-operaio. Pronto al riscatto. E coraggio dona la sua poesia civile e sociale.        

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