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venerdì 8 luglio 2011

La divisione della gioia, di Italo Testa (Transeuropa). Intervento di Nunzio Festa



















Racchiusa in tre sezioni, “La divisione della gioia”, nuova opera poetica di Italo Testa, che è anche traduttore e saggista, alla sua seconda edizione, è esempio d'arte che s'assorbe in sé la vita. In “Cantieri”, tanto per cominciare, spuntano e si spuntano le lingue urticanti delle fabbriche del Nord (NordEst), da Marghera in oltre, nel contatto necessariamente generoso dei paesaggi della post-modernità, quindi i casermoni industriali spesso in disuso, con gli uccelli, gli alianti che fendono e sfrecciano per l'aria. Il primo segmento del libro, quindi, è maggiormente spedito nel cielo dell'esistente universale, in una porzione d'amore che supera il destino dell'amore doppio e/o a due. Qui il tono, evidentemente, è più civile. Si raccoglie il fruscio della speranza ammazzata e delle constatazione, per quanto è possibile, dello stato d'imbarbarimento degenere di 'certi' luoghi: nonostante la poesia. Scavalcata, a gamba molto alta, questa fase, o “la” fase, condita di frasi-versi che spopolano i deserti al fine di popolare i reperti della vita arriva il mistero dell'erotismo, in punta di dialogo esistente e inesistente, fra corpi e parole, dove si sparge la rosa, appunto, della divisione eterna fra la gioia d'un possesso che è accesso da tenere in conto nel momento dolorifico dell'abbandono assoluto. S'è parlato, quindi, di lacerante bellezza. Fra perdita, per l'appunto, e 'paura' per-della Perdita. Dopo i “Canti ostili”, il poeta Testa – che avevamo già avuto modo d'apprezzare, e persino tramite versi ripresi in questa nuova opera, in un'antologia curata da Franco Buffoni – si conferma cantore di fiamme alte quanto la disperazione, anzi verso la desolazione. Ma col rischio, soddisfacente a tratti, di scacciare l'urto dei timori di cui detto nella riproposizione in chiave eternamente sublimata di ciò che è stato, di ciò che dovrebbe ancora essere. Fra ansie, proprio, e proprie ribellioni interiori alla solitudine offerta dal maggior abbandono che si possa conoscere. Il canto gentile e sensuale di Testa, d'altronde, non lascia laghi e foreste all'abbattimento della noia. Nonostante il magistero della forza delle scomparse. Siano esse di luoghi che di persone. Siano della speranza, sempre accolta in Italo Testa, che d'una già finito e sfinito sentimento di speranza.

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