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sabato 2 ottobre 2010

MAHAYAVAN-RACCONTI DELLE TERRE DIVISE. Intervento di Alessia e Michela Orlando












Come si amano gli abitanti di Mahayavan? Quali sensibilità si scambiano? Come previsto, è stata appena pubblicata l’antologia Mahayavan-racconti delle terre divise. Abbiamo già letto i due racconti che precedono il nostro, IL FIGLIO DEL FUOCO, trovandoli straordinariamente belli. Con soddisfazione abbiamo anche individuato strane, oseremmo dire magiche, concordanze. Si tratta dei racconti di Stefano di Marino, LO SPADACCINO CON UN BRACCIO SOLO, e di Fabio Calabrese, IL TRONO DI LLOGRA. La soddisfazione va contenuta, per non incorrere nel peccato di eccessiva felicità, considerando l’importanza dei due nomi. Naturalmente ci riserviamo di riparlarne in altra sede, quando avremo letto tutti gli altri racconti. Ci limitiamo, pertanto, a dire qualcosa del nostro racconto; anzi, a porci una domanda: che accade nella città di Lu-Sinh quando, finalmente, un capo guerriero si ricongiunge con la propria compagna, dopo aver affrontato vicende sconvolgenti? La loro vicinanza scatena reazioni diverse da quelle vissute dai terrestri dopo una lunga lontananza? Come si amano gli abitanti di Mahayavan? Quali sensibilità si scambiano?

Dal nostro racconto IL FIGLIO DEL FUOCO, pagine 50-51:

“Antefatto. Finalmente, dopo una avventura incredibilmente suggestiva, Isy-Tdhor Maha-Ria, lo scienziato e Comandante dell’Esercito Stabile della capitale Lu-Sinh, ritorna alla sua città. È atteso dal popolo in festa e dalla compagna Vy-Gya-Thy-davy. Giunge a casa e … I due oggetti del desiderio reciproco si accostano sempre più, assaporando insieme la Pinh-Za-re, ognuno dalle mani dell’altro; poi si unificano in un abbraccio, fatto di scambio potente di energie senza movimenti e scambio delle pulsazioni ancestrali, attivate dall’accelerazione di ogni particella dei corpi-contenitori. (…) Lo sguardo di Isy-Tdhor Maha-Ria è fisso sul fianco perfetto della compagna. Gli occhi stanno per chiudersi. All’improvviso qualcosa ravviva l’attenzione di Vy-Gya-Thy-davy, come se un inatteso pensiero percorresse la mente, segnandola di lieve dolore. La reazione del corpo è contenuta nella appena accennata agitazione del profilo dei seni. Al Comandante basta per capire che sta per girarsi, che intende parlargli, che ha da chiedergli qualcosa. «Cosa ti turba, vibrazione estasiante del mio tempo? Cosa mi nascondi, riflesso dorato del mio mondo? Quale fardello non riesci a scaricare , mio unico suono desiderato? Darei tutti i Pan prodotti dalla nostra zecca dalla notte dei tempi, tutto l’oro e l’argento estratti nelle miniere della Terra di Mahayavan e l’energia occorrente per far vivere tutto ciò che ci circonda, quindi darei la vita per poter essere messa a parte di quell’unico pensiero che ti ha distratto per un attimo…». «No, nella mia mente l’orizzonte è stato piatto, ho sempre e soltanto immaginato una linea perfetta a trecentosessanta gradi tutto attorno a noi. Non mi ha turbato nulla, e quella monotonia mi ha dato modo di consegnarmi integralmente a te. Così ho potuto darti tutto, tutta l’energia che possedevo, come ho sempre fatto.»

«No, no, mio Comandante, non c’eri tutto nel mio grembo, non mi hai dato tutte le vibrazioni, non hai intercettato pienamente con la tua energia esplosiva il mio punto Dagy-Gy. Alla tua carica vitale hai sottratto una infinitesima parte, ma è accaduto. Ricordi quando mi spiegasti l’intensità della luce del nostro sole? Ricordi che non capivo quelle misure assurdamente piccole per dimostrare l’esistenza di spazi infiniti? Ebbene, utilizzasti un granello di sabbia come esempio. Dicesti che uno sottratto alla nostra rara sabbia d’oro, misura circa duecentocinquanta micron e che le particelle di luce sono molto meno. Ebbene, l’energia che mi hai sottratto è ancora meno, ma l’ho sentita, e mi resta quel senso di vuoto incolmabile.» Isy-Tdhor Maha-Ria, colpito dalla determinazione e dalla delicatezza delle parole di Vy-Gya-Thy-davy, la fissa e si lascia andare. «Ti dirò cose che dovrei spiegare, ma che neppure io sento di dominare. Avverto la sensazione di un nuovo organo impiantato in una zona del corpo ignota, senza poterlo scrutare, analizzare. Avverto la sensazione di un dondolio, come di onde del mare mosse ritmicamente, senza la possibilità di modificare la velocità; è una situazione mai vissuta prima. Sento rumori che non hanno età, come fossero da sempre e per sempre identici. Intuisco desideri che non ho mai avuto e che non so descrivere. Vorrei essere su una spiaggia, scavare, sentire la diversa temperatura man mano che affondo le mani, raccogliere la sabbia, e costruire un castello. Ma non so per chi e che senso abbia farlo. Per questa incapacità di capire vorrei perdermi in un riflesso di indaco e lasciarmi trasportare fino ai margini del mondo che vediamo. Forse da lì potrei avere la visuale giusta, potrei svelare il mio mistero.» Vy-Gya-Thy-davy abbassa lo sguardo, scuote la testa e torna a guardarlo negli occhi. «No, mio Comandante, non hai mai parlato così, non dici il vero.» Stavolta Isy-Tdhor Maha-Ria è ferito. Attira la compagna a sé. «Hai ragione. Ho paura. Ma per vivide sensazioni che non ho mai provato. In realtà vorrei fuggire trasportato da un riflesso di indaco. Io vedo il mio corpo sommerso in un liquido, eppure sto bene; poi lo sento spinto da una violenta massa liquida attraverso una grotta strettissima; lo vedo eruttato in uno spazio infinito, tra grida di dolore, e lo vedo affogare nel vuoto, dove dovrei invece stare bene. Infine mi ritrovo sotto una massa incandescente, un fuoco incombente e una forza improvvisa che mi strappa. Ma non sento gioia e piacere per la conseguita salvezza. Io muoio in quel momento.»

«Sì, adesso dici il vero. Anche stavolta sono costretta a dirti che non hai mai parlato così. Ma dici il vero. Non dovresti più aver paura: sei a casa tua, con la tua compagna, con il tuo popolo e con il tuo reggimento vicini. Nessuno è più al sicuro di te (…).»

Edizioni Scudo - http://www.innovari.it/mah.htm

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